Ho conosciuto Peggy ormai molti anni fa. Non la Peggy in carne ed ossa, scomparsa quando ero una bambina, ma lo spirito vivo che aleggia nelle stanze della casa-museo a Venezia che porta il suo nome. La Fondazione Peggy Guggenheim è uno dei maggiori musei d’arte moderna al mondo, opera in Italia con la supervisione della Fondazione Solomon R. Guggenheim di NYC.

Storia di un’adolescente dalla Biennale Guggenheim.

Per i miei 15 anni mi regalarono l’ingresso alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia e il catalogo della mostra. Erano gli anni Ottanta, c’erano pochissimi ragazzi a spasso per i giardini di Sant’Elena quel giorno di agosto, anzi forse ero l’unica adolescente, per cui mi sentivo grande e importante. Ricordo ancora la gioia di commentare le opere di cui non capivo granché ma mi incuriosivano tanto. Ricordo poi la passeggiata tra le calli e l’arrivo in quel palazzo di pietra bianca che si affaccia sul Canal Grande e che è più basso degli altri perché – mi spiegarono – incompiuto. Ca’ Venier dei Leoni raccoglie una collezione ma è stato ancora prima la casa del cuore a Venezia di un’americana aperta e internazionale. Varcarne la soglia è essere accolti da ospiti.

Peggy fu una delle migliori voci americane in Europa nel suo tempo. Fu visionaria, colta, anticonformista, coraggiosa e per questo riuscì a mettere in piedi la più prestigiosa raccolta italiana dedicata all’arte europea ed americana della prima metà del 1900. Un pezzo della migliore America in Europa.

Le due porte: America e Venezia (e l’Europa).

Ca’ Venier dei Leoni a Venezia ha una porta di terra e una porta acquea. Dalla porta sulla calle si arriva velocemente dall’Accademia percorrendo un breve tratto tra strette calli e qualche slargo. Di fronte all’Accademia c’è un ponte di legno costruito in trentasette giorni che doveva essere temporaneo ma che dagli anni Trenta è ancora lì, come tutte le cose che in Italia dovrebbero essere temporanee e diventano permanenti. Dalla sommità del ponte la vista sul Canal Grande è qualcosa che toglie il fiato, specie nei giorni in cui il cielo è più azzurro e sono pochi i turisti che si fanno spazio per una foto. Si vede il canale che curva e il bacino di San Marco con la chiesa della Salute salda e imponente in fondo. L’acqua scura ha la schiuma bianca dei vaporetti, i colori rossi e arancio dei palazzi che si riflettono e il nero delle gondole, il “nero di Venezia” che colpì come una saetta il giovane Kandinsky. Dal ponte dell’Accademia – dicevo – si arriva in pochi minuti a piedi alla Fondazione Peggy Guggenheim.

Mi sono sempre immaginata di ritrovarmela davanti tra le stanze o nel giardino alberato dove è sepolta insieme ai suoi amati cani. Oppure di vederla seduta a leggere un libro all’ombra del tempietto di pietra. Altera, geniale, precisa come un dardo lanciato; brillante, curiosa, diretta, eccentrica, coraggiosa. Così me la immagino Peggy innamorata di Venezia. Tutt’ora, uno dei migliori pezzi di America in Italia.

About the Author: Anna Romanin

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By Published On: Novembre 6th, 2024Categories: Arte, comunicazione, storytelling